L’assegnazione della casa familiare è uno degli aspetti più complessi e rilevanti nei procedimenti di separazione e divorzio, poiché coinvolge diritti patrimoniali dei coniugi, aspetti affettivi e psicologici, con particolare riguardo alla tutela dei figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti. La casa non rappresenta soltanto un bene materiale, ma è il centro della vita familiare, degli affetti e delle consuetudini quotidiane. L’ordinamento italiano mira a garantire ai figli la possibilità di mantenere continuità nella vita domestica e relazionale, riducendo il rischio di ulteriori traumi derivanti dalla crisi familiare.

1. Principio cardine: l’interesse superiore dei figli

Il criterio fondamentale nell’assegnazione della casa familiare è il superiore interesse della prole. La normativa e la giurisprudenza concordano nel ritenere che l’assegnazione sia subordinata alla presenza di figli conviventi con i genitori, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti.

L’art. 337-sexies c.c., introdotto dal D.Lgs. n. 154/2013, dispone che:
“Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.”

Tale disposizione chiarisce che l’assegnazione non ha finalità assistenziale o compensativa a favore del coniuge economicamente più debole, ma esclusivamente la funzione di tutelare i figli, garantendo loro stabilità e continuità nella vita domestica. La casa familiare è definita come il luogo centrale di affetti, interessi e consuetudini di vita, fondamentale per la formazione armonica della personalità della prole.

La Corte di Cassazione ha ribadito costantemente che l’assegnazione mira a non alterare l’habitat domestico e il contesto relazionale preesistente, attribuendo l’abitazione di regola al genitore collocatario prevalente, salvo ragioni specifiche e sempre nell’ottica del superiore interesse del figlio (Cass., Sez. Unite, 27 luglio 2016, n. 14100).

2. Assenza di figli o loro autosufficienza economica

Quando non vi sono figli minori o maggiorenni non autosufficienti, il giudice non può disporre l’assegnazione della casa familiare. Questo vale anche se i figli convivono con i genitori ma hanno raggiunto l’indipendenza economica.

In tali circostanze:

• L’assegnazione non può essere uno strumento assistenziale per il coniuge economicamente più debole;
• Prevalgono le norme ordinarie sulla proprietà e sulla comunione dei beni;
• Ogni controversia sulla titolarità dell’immobile deve essere affrontata in un giudizio ordinario e non nel procedimento di separazione.

Il raggiungimento dell’autosufficienza economica dei figli costituisce un presupposto per la revoca dell’assegnazione, imponendo al giudice di rivalutare la misura in relazione all’interesse della prole.

3. Natura giuridica e opponibilità ai terzi

Il diritto del coniuge assegnatario è un diritto personale atipico di godimento, strettamente funzionale alla protezione dei figli e non configurabile come diritto reale.

L’art. 337-sexies c.c. prevede che il provvedimento di assegnazione e quello di revoca siano trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c. La giurisprudenza, già con intervento delle Sezioni Unite, ha chiarito che il provvedimento è opponibile al terzo acquirente:

• Per nove anni dalla data del provvedimento, anche senza trascrizione;
• Oltre nove anni, solo se trascritto nei registri immobiliari.

Questa tutela è fondamentale per garantire che il diritto dei figli a permanere nella casa non possa essere vanificato da eventuali alienazioni dell’immobile da parte del coniuge proprietario.

4. Revoca dell’assegnazione

L’art. 337-sexies c.c. stabilisce che il diritto al godimento della casa familiare viene meno se il genitore assegnatario:

• Cessa di abitare stabilmente nella casa;
• Contragga nuovo matrimonio;
• Conviva more uxorio.

Tuttavia, come chiarito dalla Corte Costituzionale e confermato dalla Cassazione, tali eventi non comportano revoca automatica: il giudice deve sempre valutare se la misura sia ancora conforme all’interesse dei figli (Cass. civ., Sez. Unite, 21 luglio 2004, n. 13603). Anche una nuova convivenza more uxorio non determina automaticamente la revoca, essendo necessario accertare l’impatto sull’habitat familiare e sul benessere della prole.

5. Implicazioni economiche dell’assegnazione

Sebbene la funzione principale dell’assegnazione non sia economica, essa comporta conseguenze patrimoniali concrete:

• Il godimento gratuito dell’immobile rappresenta un beneficio economico che può incidere sull’assegno di mantenimento per i figli, riducendo l’onere del genitore non assegnatario;
• Può influenzare l’assegno di mantenimento per il coniuge, poiché il vantaggio economico derivante dalla disponibilità dell’abitazione riduce o annulla l’eventuale diritto a percepire un assegno a titolo personale.

In sede di divorzio, l’assegno divorzile segue principi analoghi a quelli della separazione, ma con un’interpretazione perequativo-compensativa consolidata dalla Cass., Sez. Unite, 11 settembre 2018, n. 18287: il giudice deve considerare il contributo del coniuge alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, adeguando l’assegno anche in relazione alla cessazione dell’assegnazione della casa.

6. Conclusioni

L’assegnazione della casa familiare è uno strumento giuridico finalizzato esclusivamente alla protezione dei figli, il cui interesse costituisce l’unico criterio imprescindibile per il giudice. Tutti gli altri aspetti, inclusa la situazione economica dei coniugi, assumono rilievo solo come conseguenza della decisione principale, ad esempio nella regolazione dei rapporti patrimoniali o dell’assegno di mantenimento.

Si conferma così il principio cardine del diritto di famiglia italiano: la casa familiare non è un vantaggio per il coniuge, ma il mezzo per garantire stabilità affettiva, educativa e relazionale ai figli anche dopo la crisi familiare.

Avv. Sarah Berducci

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